Ricerche storico-cronologiche e d’archivio a cura dell’Associazione “Paesaggi e Giardini” di Firenze
Villa “Il Roseto” è un edificio degli anni Trenta del Novecento di modesto pregio architettonico, ma lo straordinario paesaggio nel quale è immersa e le personalità che l’hanno abitata, le conferiscono un indiscutibile valore aggiunto dal fascino particolare. Essa infatti è stata la casa-studio di Giovanni Michelucci, uno dei più grandi protagonisti dell’architettura moderna.
La storia di Villa “Il Roseto” inizia nel 1933, quando il pittore Baccio Maria Bacci, vende a Maria e Consuelo De Jevenois, due sorelle di nazionalità belga residenti a Fiesole, un piccolo appezzamento di terreno di forma allungata prospettante un viale privato della sua proprietà e un ulteriore fazzoletto di terra contiguo.
Si trattava di un lotto inadatto all’edificazione perché ripido, scosceso, esposto ai venti e alle intemperie, ma con uno dei punti di vista più belli sulla città di Firenze.
Neppure un mese dopo la vendita, l’ingegnere Gino Bartolini presenta al Comune di Fiesole l’istanza per la concessione edilizia della futura villa, la cui realizzazione fu tutt’altro che semplice. L’orografia del terreno e la necessità di realizzare un adeguato sbancamento per le fondamenta creò non pochi problemi al Bartolini il quale, poco più che trentenne, era probabilmente al suo primo incarico importante.
La Villa
La villa si sviluppa su tre livelli e si configura come una casa unifamiliare caratterizzata da ampi ambienti di rappresentanza corredati da funzionali spazi di servizio. L’ingresso principale consente l’accesso al secondo livello dell’abitazione, mentre il piano inferiore è raggiungibile anche dal giardino retrostante.
Al modesto esterno di gusto toscano, il cui unico tocco di estro si può ritrovare nelle grandi arcate vetrate della sala al piano seminterrato, corrispondono interni sobri e accoglienti. È probabile che proprio la semplicità degli ambienti interni, e la possibilità di personalizzarli secondo il proprio gusto, sia stata apprezzata da Michelucci, che per essi disegnò e fece realizzare elementi di arredo in legno fisso, quali librerie e soppalchi. Non mancano elementi caratterizzanti tipici della tradizione toscana come i soffitti con travi in legno a vista e il caminetto in pietra arenaria eseguito dallo scalpellino fiorentino Eugenio Cangioni.
Il Giardino
Purtroppo dello ‘schizzo sommario dei giardini visti in pianta’ inviato alle De Jevenois nell’aprile del 1934 non rimane traccia, ma appare credibile imputare per la sua estrema semplicità e linearità l’attuale sistema di percorsi paralleli allo stesso Bartolini, che come ingegnere civile non era un esperto nella progettazione dei giardini e quindi non avrebbe scelto soluzioni più ‘ardite’. Tale sistema dei percorsi consentiva inoltre di creare piccole aiuole allungate che ben si sarebbero prestate, anche per la loro esposizione, alla coltivazione delle rose.
Non si hanno ulteriori notizie su eventuali trasformazioni alla villa ed al giardino per gli anni che seguirono fino allo fine degli anni Cinquanta, quando Giovanni Michelucci e la moglie Eloisa Pacini si trasferirono al Roseto, con i buoni uffici di Baccio Maria Bacci amico dell’architetto fin dagli anni giovanili.
Il giardino di Giovanni e Eloisa
Fra la villa e il giardino, fu sicuramente quest’ultimo a subire gli interventi più consistenti con l’arrivo della famiglia Michelucci, che volle personalizzare e reinterpretare questa sottile lingua di terra affacciata su Firenze. Una sorta di balcone privilegiato dal quale l’architetto poteva osservare e meditare sulla città, tema centrale di tutta la sua esperienza umana e professionale. Un corpus piuttosto consistente di fotografie scattate nel giardino, oltre ad alcuni filmati, testimoniano e documentano il loro amore per la natura, per i suoi elementi, per la varietà di forme e di colori.
Nel giardino creato da Giovanni ed Eloisa e nel suo rapporto con la villa e col paesaggio circostante, si avvertiva forte il monito michelucciano a non considerare separatamente lo spazio murato da quello naturale a non intendere il verde come un semplice accessorio, un abbellimento. Era un giardino lungamente pensato e vissuto ma certo non un giardino “progettato”, almeno non nell’accezione comune del termine.
Anche le opere pittoriche di Eloisa esposte negli ambienti della villa, sono non a caso intrise di conversazioni con la natura e sulla natura. In alcuni pastelli su carta dei primi anni Settanta, le forme diventano volumi ed i colori diventano emozioni, le stesse che ritroviamo nelle riprese di cespugli fioriti mossi dal vento e nelle foto delle masse di piante erbacee ed arbusti fioriti. Ma il giardino di Eloisa è soprattutto una tavolozza di colori, una sorta di tavolozza naturale con la quale affrescare il proprio angolo di mondo.
Michelucci amava senza dubbio vivere a villa “Il Roseto”, in un contesto che sul finire degli anni Cinquanta poteva ancora considerarsi rurale, ma con la città tutta intera sotto i suoi occhi, vicina e nello stesso tempo lontana, inafferrabile.
- Villa Il Roseto anni 60
Nella sua sistemazione di base, il giardino del Roseto corrispondeva al sentire michelucciano. Disposto su vari piani, su terrazzamenti, con zone funzionali alternate a zone non funzionali di solo ornamento; vi si avvertiva un sentimento “antirinascimentale”: esso non era più il ribaltamento, la proiezione all’esterno della villa, ma vi entrava dentro e diventava un tutt’uno con essa, nei bei vasi di fiori colti in giardino e raffigurati nei quadri di Eloisa, nel legno dei mobili disegnati da Giovanni: “(…) la natura penetrava nell’interno della casa per comodità e conforto degli ospiti, nel modo da essi desiderato e nasceva una pacata familiarità fra l’uomo e le cose circostanti.”
La percezione del giardino per Michelucci era forse qualcosa di più intimo, quasi viscerale. Era la vita sotto la corteccia di un albero, la bellezza della natura che si percepisce con l’animo ed era anche l’amore per la terra, plasmata e modellata dall’incessante lavoro umano: “(…) io sono un uomo antico, ho vissuto la vita propria di un secolo fa, e mi è rimasto attaccato tutto il senso della vita nei campi, del lavoro della terra, del castagneto”.
- Villa Il Roseto, fine anni 60
Cronologia
1832-34 – I terreni sui quali un secolo più tardi verrà edificata villa Il Roseto appartengono a Filippo di Cosimo Ulivelli (già Ulivieri) e fanno parte di una vasta proprietà comprendente anche una villa con giardino, orto e cappella.
1932 – Dopo varie vendite e successioni a cavallo tra Ottocento e Novecento, una parte della proprietà viene ceduta alla Croce Rossa ed un’altra al pittore Baccio Maria Bacci.
1933 – Baccio Maria Bacci vende a Maria e Consuelo De Jevenois un piccolo appezzamento di terreno di forma allungata prospettante su un viale privato della sua proprietà e un ulteriore fazzoletto di terra contiguo.
1933, 16 maggio – L’ingegnere fiorentino Gino Bartolini riceve l’autorizzazione dal Comune per l’edificazione di villa De Jevenois.
1933, 14 dicembre – La villa è quasi ultimata e ha già assunto l’attuale nome di villa “Il Roseto”.
1934, aprile – I lavori per la realizzazione della villa sono giunti alle fasi conclusive, e l’ing. Bartolini invia alle signorine De Jevenois uno schizzo sommario dei giardini.
1936 – Maria De Jevenois muore, lasciando erede la sorella Consuelo.
1938 – Risale la costruzione di una piccola serra da fiori, realizzata dall’impresa Lander di Fiesole, identificabile quasi sicuramente con quella ancora oggi esistente all’estremo Ovest del giardino.
1944, agosto – La villa è occupata da un comando tedesco.
1958, 15 novembre – Giovanni Michelucci e la moglie Eloisa Pacini si trasferiscono a villa Il Roseto, nella quale stabiliscono la loro residenza principale. E’ probabile che ciò avvenga per intermediazione di Baccio Maria Bacci, buon amico dell’architetto fin dall’epoca delle giovanili frequentazioni dello studio di pittura di Giovanni Fattori.
1959, 3 giugno – Eloisa Pacini acquista per 12.000.000 di lire villa Il Roseto da Consuelo De Jevenois.
1974, 31 luglio – muore Eloisa e con atto testamentario la nuda proprietà della villa viene ceduta al Comune di Fiesole, mentre l’arch. Michelucci ne mantiene l’usufrutto.
1982 – la villa, da tempo sede del Centro studi “la Nuova Città”, diviene sede della Fondazione Giovanni Michelucci.
1990, 31 dicembre – Alla soglia dei cento anni Michelucci muore, lasciando la Fondazione erede universale dei propri beni.