La presenza de “L'altro diritto” nell'Istituto Penale Minorile di Firenze

di Laura Basilio (L'altro diritto)

Il Centro di Documentazione "L'altro diritto"

Le origini dell' Altro diritto coincidono con l'attività didattica avviata (durante l'anno accademico 1994-95) dai corsi di Sociologia del diritto tenuti presso il Dipartimento di Teoria e Storia del Diritto dell'Università di Firenze - successivamente raccolta nel volume L'altro diritto. Emarginazione, devianza, carcere (a cura di Emilio Santoro e Danilo Zolo). F ondata nel 1996, l'associazione svolge attività di riflessione teorica e intervento diretto nell'ambito delle istituzioni penali e carcerarie e, più in generale, ovunque si sviluppino situazioni svantaggiate dal punto di vista sociale e giuridico (i risultati, selezionati dal direttore - Emilio Santoro - e dal comitato scientifico - Luca Bresciani, Luigi Ferrajoli, Alessandro Margara, Claudio Sarzotti, Gino Tapparelli e Danilo Zolo - sono disponibili sul sito www.altrodiritto.unifi.it ) . In questo modo si cerca dunque di integrare quella che Roscoe Pound chiamava law in books - la Costituzione e i Codici, le leggi ordinarie e i regolamenti esecutivi, le circolari ministeriali e le direttive internazionali – con un altro diritto ( law in action ): il fitto reticolo di transazioni sociali e giuridiche che permette ai princîpi e alle regole scritte di trasformarsi in disciplina effettiva (di qui la recente collaborazione con le riviste «Dei delitti e delle pene» e «Toscana Giurisprudenza»).

La distanza che separa il diritto formalmente emanato da quello interpretato ed eseguito dalle corti giudiziarie e dalle burocrazie amministrative (attraverso conflittuali e spesso sotterranei processi di distorsione e selezione normativa) va in effetti a comporre quella che potremmo chiamare ‘la faccia oscura del diritto' nelle società postindustriali - nascosta nelle pieghe di un tessuto sociale fortemente differenziato e sospinta ai margini da processi di rimozione collettiva. Nuove forme di stratificazione sociale hanno dato vita, nel tempo, a una vera e propria underclass formata da cittadini e stranieri emarginati in termini economici ma anche etnici e culturali, di fatto esclusi dall'esercizio dei loro diritti sociali e di cittadinanza, incapaci di trovare spazio nell'agenda politica e di guadagnare l'attenzione dell'opinione pubblica. Inevitabile perciò che dopo una prima fase prettamente teorica nel 1997 nascesse, all'interno dell'associazione, il Centro di consulenza extragiudiziale - che opera nelle carceri di Sollicciano, Prato ( La Dogaia ), Solliccianino (Casa Circondariale Mario Gozzini di Firenze) ed Empoli -, impegnato a verificare il rispetto dei diritti dei detenuti (spesso e volentieri trascurati) e il loro trattamento paritetico: nonché l'attuazione dei benefici previsti dall'ordinamento penitenziario (misure di detenzione alternative e prospettive di reinserimento), abitualmente sconosciuti alla maggioranza dei detenuti (specie quelli immigrati), che scontano la loro condanna spesso senza la possibilità di comunicare con gli operatori penitenziari o con l'avvocato (il più delle volte assegnato d'ufficio) che li ha difesi durante il processo.

L'altro diritto ha inoltre attivato nelle carceri di Sollicciano e Mario Gozzini e presso il Cssa e per semiliberi ed affidati (avvalendosi dei finanziamenti della Provincia di Firenze e della Cassa di Risparmio di Firenze) uno sportello - per i soggetti in esecuzione pena - al quale rivolgersi per la preparazione di pratiche e documenti necessari per l'accesso a tutti quei benefici sociali di cui hanno diritto di usufruire (pensioni di invalidità, indennità di disoccupazione, conseguimento della residenza, permesso di soggiorno, accesso al lavoro). Nell'anno 2004-2005, presso il carcere di Sollicciano, è stato inoltre promosso un "Corso di formazione per scrivani penitenziari", finanziato dalla Provincia di Firenze, finalizzato alla formazione di detenuti e soggetti in esecuzione penale esterna per l'accesso ai diritti di cittadinanza.

E, ancora, per consentire alle persone detenute di lavorare in carcere, ha fondato una cooperativa sociale di tipo B, la "Panglos", che ha ottenuto dal Comune di Prato il riconoscimento di ente fornitore privilegiato (ad esempio è stato attivato un contratto di telelavoro per l'aggiornamento dei certificati urbanistici tra cooperativa e Comune di Prato che impegna una decina di detenuti della sezione universitaria, gli unici che hanno accesso a computer collegati in rete).

L'attività degli operatori de L'altro diritto in ogni caso ha trasceso ben presto i limiti dell'assistenza giuridica per estendersi a mansioni diverse - contatti con Cooperative Sociali, Comunità e Sert, accompagnamento di detenuti in permesso o affidati a comunità terapeutiche -, nonché all a formazione della popolazione reclusa: attivando (in collaborazione con insegnanti volontari) corsi di scuola superiore all'interno dei carceri e collaborando alla creazione e al funzionamento del Polo Universitario in quello di Prato (anche per gli stranieri chiamati a fronteggiare problemi di reperimento, in patria, e riconoscimento, in Italia, dei loro titoli di studio). Inoltre - grazie ad un accordo stipulato con il delegato del Rettore e con la Cassa di Risparmio di Prato, che mette a disposizione piccole borse per i tutors e per la gestione del servizio di tutorato presso lo stesso Polo Universitario penitenziario - viene offerto sostegno didattico anche agli studenti detenuti iscritti all'università ma per varie ragioni non inclusi nella sezione universitaria di Prato e agli studenti iscritti all'università ma in esecuzione pena esterna.

L'attenzione ai problemi dei detenuti ha però coinvolto sempre più, negli ultimi anni, la situazione dei migranti – in forte aumento, emarginati dal mondo del lavoro e ignari dei loro diritti. Pertanto, quando la presentazione del disegno di legge Bossi-Fini ha reso manifesta l'intenzione di governare il fenomeno delle migrazioni attraverso la criminalizzazione degli immigranti, L'altro diritto ha spostato la sua attenzione anche fuori dall'ambito detentivo, e a partire dal 2000 ha avviato una campagna di sensibilizzazione delle amministrazioni locali, facendo presente che l'approvazione della legge le avrebbe obbligate a moltiplicare il loro impegno, anche giuridico, su problematiche relative all'ingresso, al soggiorno, alle procedure di espulsione e al riconoscimento del diritto al rifugio politico. La collaborazione avviata con la Consulta sull'immigrazione dell'ANCI Toscana ha così portato, nel settembre del 2003, alla creazione di Admigranti, centro di consulenza e Adirmigrantiorientamento sull'immigrazione, che svolge una funzione di coordinamento e diffusione, a livello regionale, sia della normativa in materia di migranti sia delle "buone prassi" di gestione dei servizi e di risoluzione delle problematiche, al fine di rendere effettivi i loro diritti e aiutare gli enti locali (o le altre associazioni) a ricomporre il puzzle di leggi, regolamenti e circolari sul regime italiano dell'immigrazione (palese il severo e confuso rigore del Testo Unico in materia di immigrazione così come modificato dalla Bossi-Fini). Per quanto riguarda i migranti detenuti è stata invece stipulata una Convenzione con il Provveditorato Regionale dell'Amministrazione Penitenziaria. L'accordo prevede l'assistenza agli operatori attivi nelle carceri per la gestione dei migranti detenuti e la consulenza diretta ai soggetti coinvolti, attività che si è estesa agli istituti di detenzione di Pisa, Livorno, Lucca, Massa, Grosseto, Siena, S. Gimignano, Pistoia. In questi istituti l'attività è diretta esclusivamente ai migranti. Nelle stesse sedi l'attività di consulenza è espletata anche a favore degli operatori dell'area penale esterna (assistenti sociali del CSSA che seguono gli affidamenti) e ai migranti in esecuzione della pena in misura alternativa.

L'altro Diritto collabora con le seguenti istituzioni ed Enti: Fondazione Michelucci, Provveditorato Regionale della Amministrazione Penitenziaria, Carcere di Sollicciano, Casa Circondariale Mario Gozzini, CSSA di Firenze, Provincia di Firenze, ASL dell'Empolese. L'altro Diritto è inoltre consulente in materia di diritto dell'immigrazione per i Comuni di Firenze, Pontebuggianese, Marradi, Empoli, Vinci, Capraia, Limite, Montelupo, Castelfiorentino, Certaldo, Gambassiterme, Montaione, S.Miniato, Montopoli, Castelfranco, S.Croce, Fucecchio, Cerreto Guidi e Prato. L'altro diritto collabora attivamente con gli istituti di detenzione di Firenze (Sollicciano, Solliccianino e il Carcere Minorile), di Prato, di Empoli, di Pisa, Livorno, Lucca, Massa, Grosseto, Siena, S. Gimignano e Pistoia.

L'altro diritto e l'IPM

Dal 1998, infine, l'associazione ha attivato un gruppo di sostegno per i detenuti dell'Istituto Penale Minorile di Firenze: i suoi volontari – che entrano all'IPM tutti i mercoledì pomeriggio – tentano, tra l'altro, di favorire l'accesso dei ragazzi, soprattutto extracomunitari, alle misure alternative alla pena detentiva.

Anche per i minori il problema maggiore è rappresentato dal trattamento dei detenuti stranieri: la maggioranza di loro proviene dall'area magrebina (Marocco, Algeria, Tunisia) e da quella balcanica (albanesi, rumeni e slavi in genere), e tra i ragazzi di cittadinanza italiana sono numerosi sia i Sinti che i Rom. L'analisi del sistema giudiziario attauale consente di affermare che per i minori italiani esiste in molti casi la possibilità di evitare l'ingresso nella struttura carceraria attraverso l'attivazione delle risorse familiari e ambientali, e quindi l'applicazione di misure cautelari non detentive e di misure sostitutive o alternative alla detenzione. Per il minore straniero - già condizionato da problemi di lingua, di ambientamento, di istruzione e di immissione nel mercato del lavoro - l'ingresso in Istituto è invece quasi sempre obbligato, ed estremamente complessa l'applicazione di misure alternative (in particolare la sospensione del processo con messa alla prova, prevista dall'art. 28 d.p.r. 448 del 1988): il nuovo processo penale - introdotto dal d.p.r. 448 del 1988 – prevede soltanto, come risposte, l'assoluzione per non imputabilità ed il perdono giudiziale e, subito dopo, la condanna alla pena detentiva. Paradossalmente, dunque, la riforma della giustizia minorile ha creato un solco nel trattamento dei detenuti italiani ed extracomunitari, che rende di fatto inefficaci le previsioni del d.p.r. 448 del 1988, vanificando le risposte al fatto criminoso previste dal legislatore, e l' iter giudiziale riservato ai minori stranieri decisamente affine a quello riservato degli adulti, ciò che appunto spiega la netta prevalenza dei minori stranieri negli istituti del centro-nord (a Firenze, già nel 1999, l'utenza straniera rappresentava l'88% della popolazione detenuta).

Gli operatori de L'altro diritto hanno inoltre promosso l'attivazione delle facilitazioni previste dalla legge Smuraglia a favore dei reclusi minori: nell'aprile del 2004 è stato completato il primo inserimento lavorativo all'esterno di un ragazzo (ex. art. 21 dell'ordinamento penitenziario), col progetto futuro, anche attraverso la cooperativa sociale "Panglos", di installare delle produzioni direttamente all'interno dell'Istituto penale minorile.

Considerando che in media circa il 90% dei detenuti nell'Istituto è in attesa del giudizio definitivo, emerge limpidamente il perché del senso di precarietà e di incertezza se non di rassegnazione che i ragazzi avvertono nei confronti del proprio futuro. L'altro diritto cerca quindi di aiutare i reclusi nella soluzione di problemi apparentemente banali, ma che, per ostacoli di varia natura, in primis linguistica, si trasformano in realtà in situazioni di difficile comprensione e soluzione. Spesso, infatti, i minori detenuti incontrano difficoltà anche nel semplice reperimento di un difensore, oppure nel mettersi in contatto con il proprio avvocato, magari per conoscere la data di un'udienza o il giorno di uscita dal carcere.

I volontari operano con l'intento di istituire un'interazione con i ragazzi che si trovano in una condizione di "sradicamento” anche per la mancanza di qualsiasi contatto 'reale' con l'esterno. Assenza tanto più difficile da affrontare se si tiene conto della loro giovane età. Così fanno presente e illsutrano ai ragazzi definitivi (non più in custodia cautelare ma in espiazione pena) la possibilità di richiedere un permesso premio ai sensi dell'art. 30ter dell'ordinamento penitenziario: opportunità fondamentale che permette al detenuto di trascorrere delle ore al di fuori della struttura carceraria (in piscina, al cinema, in pizzeria) e incontrare la famiglia; il ripetuto esito positivo di tale permesso è ormai considerato dalla magistratura di Firenze quasi tappa indispensabile del percorso trattamentale finalizzato alla concessione di una misura alternativa.

Ma come detto i volontari de L'altro diritto operano, oltre che sul piano strettamente giuridico, anche su quello umano, preoccupandosi di ovviare allo stato di isolamento oggettivo dei detenuti organizzando, anche all'interno dell'IPM, incontri, cene e occasioni di aggregazione; e poi – ciò che la penuria di risorse statali altrimenti impedirebbe - corsi di Yoga, Kick Boxing, informatica, alfabetizzazione e sostegno scolastico, oltre a un laboratorio di autobiografia sfociato nella redazione di un giornalino interno (in collaborazione con l'associazione A.I.C.S). Grazie al finanziamento della Cassa di Risparmio di Firenze, sono state anche attivate una ludoteca multiculturale, nella quale sono state convogliate le diverse attività ludiche e di formazione gestite dall'associazione, e una biblioteca con libri in lingua italiana e non, gestita dai volontari e dai ragazzi e aperta a tutti gli operatori carcerari. L'idea della ludoteca è nata dalla considerazione che mancasse ai ragazzi un'occasione di gioco che permettesse loro di recuperare, pur nella difficoltà del vivere in stato di detenzione, la leggerezza e la serenità che dovrebbero caratterizzare l'adolescenza. La convinzione che si dovesse agire nella direzione della creazione di una ludoteca è stata ulteriormente rafforzata, da una parte, dal riscontro di un aumento, negli ultimi mesi, di detenuti di età molto giovane, dall'altra, dalla constatazione del periodico emergere di difficoltà di relazione e di socializzazione fra detenuti appartenenti a diversi gruppi nazionali. In questo modo - per quanto la popolazione dell'istituto sia un gruppo in continua trasformazione - si tenta di risolvere le difficoltà di relazione e di socializzazione (non solo per motivi linguistici) fra detenuti appartenenti a diversi gruppi nazionali, e più in generale di aiutare la crescita dei ragazzi in un momento estremamente difficile della loro esistenza – stato di ‘sospensione' decisivo in termini di mancata maturazione.

Spesso L'altro diritto continua a seguire i minori anche una volta usciti dal carcere, cercando di favorire il loro inserimento sociale (per alcuni anni dei volontari hanno seguito, presso il Centro Mercede, i percorsi scolastici di giovani ex-detenuti impegnati nel conseguimento della licenza media).

Inoltre l'associazione ha stipulato una Convenzione con la Regione Toscana , il Tribunale dei Minori di Firenze e Coeso per avviare uno sportello di mediazione penale minorile presso il Tribunale dei minori di Firenze (il primo corso di formazione dei mediatori è appena cominciato); e ha collaborato con la Facoltà di Scienze della Formazione di Firenze (Corso di laurea in "Operatori per la pace") per la creazione di un modulo professionalizzante per 'Operatore per la Mediazione sociale e penale', iniziato nel marzo del 2004 (in accordo con l'Ufficio di Giustizia Minorile L'altro diritto ha seguito 5 ragazzi durante 250 ore di stages in mediazione sociale all'interno dell'IPM).

È anche per questo motivo che, quando gli educatori dell'IPM hanno proposto alla nostra Associazione di ideare attività di aiuto e supporto ai corsi scolastici già presenti di italiano, inglese e matematica, si è progettato un corso di educazione civica per favorire la tolleranza ‘interculturale', per stimolare un "modello educativo" attento al pluralismo delle forme di vita e delle espressioni culturali, lontano dai pericoli dell'omologazione e dalla sopraffazione delle culture "più forti" rispetto a quelle minoritarie, articolato intorno ai principi dell'eguaglianza e dell'emancipazione, della non- violenza e della differenza.

Esperienze

La prima volta che ho varcato il portone dell'Istituto Penale Minorenni “Giampaolo Meucci” era il 1999. Per quanto lontano, quel giorno è ancora ben impresso nella mia memoria: ricordo che sono entrata all'Ipm in occasione di una merenda-cena organizzata dai volontari dell'associazione L'altro diritto per festeggiare il Natale. Quando ci sono tali avvenimenti, i ragazzi ci aspettano sempre in trepida attesa, un po' perché si tratta comunque di un'occasione speciale, che sa di festa e aiuta a dimenticare per qualche ora il posto in cui sono, un po' perché almeno per una sera invece del cibo della mensa, causa spesso di scioperi della fame, mangiano quello che ci hanno chiesto (“maiale” è la richiesta più frequente, ovviamente non da parte dei musulmani, fatta con la stessa intensità di chi chiede l'acqua nel deserto). I preparativi per la serata sono stati lunghissimi, non solo per la parte culinaria, ma anche per quanto riguardava il mio aspetto: dovevo avere un look normale, che non attirasse troppe attenzioni, ma che non fosse ridicolo, insomma, si sa, la prima impressione è fondamentale! Non so bene se ho raggiunto lo scopo, ma P., un ragazzo conosciuto quella sera al minorile con il quale sono ancora in contatto, tutte le volte che mi vede ricorda la mia maglietta a righe e i pantaloni verdi… Da allora sono passati quasi 6 anni, tante storie e mille facce.

Solo nel 2002 (dopo tre anni che frequentavo l'Istituto) ho conosciuto i primi ragazzi italiani, F. e J. Quando ho chiesto loro cosa provassero ad essere lì, se avessero paura, J. mi ha parlato del suo arresto – avvenuto all'alba, davanti alla mamma –, col tono di voce (tranquillissimo) di chi si è già ambientato e pensa che faccia parte del suo destino essere in un posto come quello. Pensavo a me a 15 anni…mi avrebbe spaventato anche solo la minaccia di finire in un collegio in Svizzera, figuriamoci trovarsi in un carcere minorile, di cui forse ignoravo addirittura l'esistenza. Era il 15 febbraio: lo ricordo perché il racconto dell'arresto in realtà servì a J. come pretesto per mettersi in mostra, per poter dire che a quell'ora (le 7 di mattina) lui era appena tornato a casa da una serata in discoteca con gli amici, inventata dopo aver sbolognato la sua ragazza con la quale aveva dovuto festeggiare S. Valentino. Non è stata l'ultima volta che ho visto J.: purtroppo il suo percorso penale l'ha visto entrate ed uscire dall'Ipm con una certa frequenza, fino alla scelta di una comunità, dalla quale è finalmente uscito ormai maggiorenne. Un'adolescenza spesa nelle maglie della giustizia.

Il suo compagno di disavventure, F., ha preso invece un'altra strada e ho seguito i suoi passi, dapprima incerti, ora fieri e sicuri. È incredibile quanto un ragazzo maturi in poco tempo, se solo scatta quella molla che ti fa vedere la vita passata con occhi diversi, magari attraverso quelli degli altri. Quando era in affidamento in comunità facevamo lunghissime chiacchierate durante le quali, in risposta ai miei solleciti a costruirsi una vita più serena e “normale”, usava spesso la parola “ormai”. È incredibile e sconcertante che un ragazzo di 16 anni possa pensare che il proprio destino sia già segnato, che la storia di suo padre debba essere anche la sua. Sono sicura che ora si sia ricreduto. Quando l'ho conosciuto si professava innocente, ma non si stupiva del fatto di essere in carcere: ci mettono poco a chiudere uno come lui in cella. Da allora sono passati 3 anni e nel frattempo abbiamo vinto tante battaglie umane e anche una battaglia legale: lo Stato lo ha assolto e ora ha anche riconosciuto il suo diritto ad avere un risarcimento per la detenzione subita. Adesso F. sa di non essere predestinato al male. Ma come dargli torto di tanta sfiducia, dal momento che non si sente nemmeno una persona? Lui non esiste, né per lo stato italiano né per quello jugoslavo. L'Italia riconosce solo che è nato sul suo territorio e che qui vi ha risieduto dalla tenera età di 2 anni fino ad oggi che ne ha 20; ma nonostante questo, quando ha compiuto 18 anni non gli ha conferito la cittadinanza ius soli ex art. 4, comma 2, della legge 5 febbraio 1992, n. 9 ( tale disposizione prevede il conseguimento dello status civitatis per lo straniero nato in Italia che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni dalla nascita fino al raggiungimento della maggiore età): solo perché non si sa dove sia stato durante quei primi due anni di vita, o meglio si sa ma solo su base testimoniale ( tra l'altro, del presidente dell'associazione per la difesa dei diritti delle minoranze di Firenze), mentre quando si parla di “residenza legale”, così come chiarisce l'art. 1 del regolamento di esecuzione della legge (D.P.R. 572\93), “ si considera legalmente residente nel territorio dello Stato chi vi risiede avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia d'ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia e da quelle in materia di iscrizione anagrafica”.

Non può godere della cittadinanza italiana nemmeno per concessione mediante Decreto del Presidente della Repubblica, come prevede l'art. 9 della legge n. 91/1992 nei confronti dello straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della stato italiano, perché presupposto per la richiesta è il permesso di soggiorno di cui è privo: perché, a sua volta, avrebbe bisogno di un passaporto (di cui è privo), il cui rilascio a sua volta presuppone una cittadinanza di cui è privo. Per vedersi riconosciuta la cittadinanza serba e ottenere così il passaporto, essendo figlio di due cittadini serbi, sembrerebbe logico e sufficiente andare all'ambasciata di Serbia e Montenegro. Ma se la burocrazia italiana spaventa, quella serba non lascia scampo. Le pratiche prevedono come tassello indispensabile per il conseguimento della cittadinanza l'iscrizione del ragazzo nelle liste anagrafiche del comune di origine dei genitori, richiesta rimasta però evasa dal 2002. La soluzione raccomandata dal console è di andare direttamente in Jugoslavia: peccato che per farlo serva il passaporto! Preso atto dell'impossibilità di essere riconosciuto cittadino serbo, è stata attivata la procedura per ottenere lo stato di apolide.

Quello che può sembrare solo un periodo di tempo perso dietro alla burocrazia, ha inciso pesantemente e concretamente nella vita di F. che non ha potuto far parte di una squadra di calcio per mancanza del tesserino di riconoscimento, andare in vacanza all'estero con gli amici, sposarsi, e che ha vissuto sempre con la paura di essere fermato dalle forze dell'ordine e di essere rimandato in un paese che non gli appartiene e che non lo vuole.

Nel 2003 P., il ragazzo conosciuto in occasione del mio primo ingresso, ha ricevuto un'offerta di lavoro da parte di una ditta, che avrebbe voluto assumerlo come apprendista e beneficiare così degli sgravi fiscali previsti dalla legge n. 193 del 2000, recante «Norme per favorire l'attività lavorativa dei detenuti» (meglio nota come “legge Smuraglia”). L' équipe interdisciplinare, chiamata a vagliare l'ipotesi della sua ammissione al lavoro esterno in base ad un'osservazione specifica della personalità, aveva valutato positivamente tale possibilità; da parte sua, la direzione dell'Istituto aveva dato la disponibilità ad ammettere in concreto il detenuto a tale forma di lavoro; inoltre, la visita medica era già stata espletata, e infine la ditta aveva già preparato la lettera di assunzione. Mancava solo che il Ministero della giustizia, chiamato a predisporre le necessarie procedure per il controllo costante dei crediti d'imposta erogati al fine di evitare il superamento delle risorse a disposizione, garantisse la presenza di fondi sufficienti.

Il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, interessato alla questione, ha però dato una risposta inaspettata: essendo il lavoratore un minore, il caso non era di sua competenza, bensì del Dipartimento per la Giustizia minorile. Questo dipartimento però, a sua volta, ha sollevato il problema che l'importo per la copertura finanziaria della legge Smuraglia è assegnato al DAP, al quale spetta quindi il compito di erogare annualmente alle amministrazioni interessate (I.N.P.S. e Agenzia delle Entrate) i mancati introiti derivanti dalla applicazione della nuova normativa. Il DAP, da parte sua, ha replicato sostenendo di essere responsabile solo per i capitoli di bilancio di propria competenza e che, pertanto, il Dipartimento per la Giustizia minorile avrebbe dovuto prevedere un proprio nuovo capitolo di bilancio apposito per l'applicazione della legge Smuraglia. Ecco quindi che ci siamo trovati di fronte ad un reciproco scarico di responsabilità. Ma quale Dipartimento aveva ragione? E come fare per uscire da quest' impasse e permettere al ragazzo di beneficiare di tale opportunità di lavoro e di tale prospettiva riabilitante? Dopo un anno di scambi di osservazioni, il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria ha infine accettato di occuparsi del caso, ma solo in via del tutto eccezionale, senza quindi ammettere una propria competenza in merito, solo denunciando un'evidente lacuna dei decreti di attuazione della legge n. 193/2000. Così per P. è iniziato un primo passo verso la libertà.

Una delle esperienze più belle che ho vissuto e che continuo a vivere da quando faccio volontariato all'IPM è quella di poter condividere con i ragazzi il momento in cui assaporano la libertà: il permesso premio. Si tratta, in pratica, della possibilità di trascorrere una giornata o più al di fuori delle mura carcerarie. Il momento magico è quello della chiusura del portone dell'Ipm alle loro spalle. A quel punto li vedi inspirare, come se respirassero per la prima volta, e poi espirare, con un sospiro infinito; poi guardano il cielo e dicono: libertà. È incredibile, ma succede sempre così, come se rispettassero un cliché . Ti raccontano sempre che hanno trascorso la notte in bianco per l'agitazione e che si sono svegliati ore prima del dovuto per l'impazienza. Ti senti investito di una grossa responsabilità: quel giorno deve essere perfetto perché pieno di aspettative. Nel corso degli anni siamo andati al cinema, a ballare, in pizzeria, a fare shopping, a girellare per il centro, in sala giochi, a visitare Firenze, alle mostre, in montagna, a casa a trovare la famiglia e anche i figli (per quanto strano possa sembrare che un ragazzino di 15 anni sia già padre). Poi la giornata finisce e arriva l'ora del rientro. È il momento più difficile. È come se entrassero in Istituto per la prima volta. Il sogno finisce e la realtà riprende il sopravvento.

Tante storie e tante vite sono passate dall'IPM, alcune per più volte, altre solo di passaggio e ora parlano al proprio figlio di quel periodo con il maturato distacco, altre ancora come tappa verso il carcere degli adulti.

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