Una vita lunga un secolo

Giovanni Michelucci nasce a Pistoia il 2 gennaio 1891 e muore la notte del 31 dicembre del 1990, due giorni prima il compimento del centesimo compleanno, nella casa-studio di Fiesole, sede della Fondazione dal lui costituita.

Michelucci ha avuto la ventura di attraversare nella sua “vita lunga un secolo” il Novecento, la complessità di eventi, trasformazioni, idee che hanno animato un’epoca e di cui ci ha fornito testimonianza preziosa con un operare sempre teso all’apertura di nuovi linguaggi e proposte, la complessità di eventi, trasformazioni, idee che animano il ‘900.
Proviene da una famiglia proprietaria di una qualificata officina per la lavorazione artigianale e artistica del ferro e gli anni della formazione giovanile sono immersi nel mondo artigiano; dopo il diploma all’Istituto Superiore di architettura dell’Accademia di Belle arti, Michelucci ottiene nel 1914 la licenza di professore di disegno architettonico. Insegnerà poi presso l’istituto superiore di architettura di Firenze e sarà eletto Preside della Facoltà di Architettura nel 1944.

Durante la grande guerra Michelucci realizza la sua prima opera di architettura, una cappella sul fronte orientale a Casale Ladra, vicino a Caporetto: più volte nel corso del tempo sarà costretto a confrontarsi con gli effetti della catastrofe (la ricostruzione del centro di Firenze dopo la seconda guerra, la risistemazione del quartiere popolare di S. Croce dopo l’alluvione, la chiesa a Longarone dopo la tragedia del Vajont).

Dopo la guerra lascia le “Officine Michelucci”. All’ambiente artistico pistoiese, in cui svolge un ruolo importante di riferimento intellettuale, appartiene anche Eloisa Pacini, raffinata pittrice, che sposa nel 1928 e con cui condividerà una forte sensibilità sociale. Il trasferimento romano è vissuto come un’occasione straordinaria di studio della architettura della città sacra e di realizzazione di nuove esperienze di lavoro.

La sua capacità di centrare il rapporto con le esigenze del contemporaneo emerge nel 1933 quando, coordinatore del gruppo toscano composto da Baroni, Berardi, Gamberini, Guarnieri e Lusanna, vince il primo premio nel concorso per la Stazione di S. Maria Novella a Firenze con un’opera che conquista un riconosciuto valore internazionale non solo per le qualità funzionali ma anche per la qualità di inserimento nel contesto storico e urbano. Insofferente rispetto alle vecchie e nuove accademie e lontano dal sentirsi appartenente ad una corrente di architettura o fideisticamente legato ad uno stile, nel 1935 realizza, di fianco alla stazione, la Palazzina Reale in cui riafferma il valore dell’attenzione alla storia dell’architettura ed il desiderio di sfuggire all’eccitazione retorica con cui il razionalismo pensava di rappresentare un’epoca.

Nel dicembre ‘45-gennaio ‘46 crea la rivista “La Nuova Città”.
Dall’osservazione delle macerie del centro distrutto di Firenze emergono nel periodo 1945-46 le riflessioni e i disegni per la ricostruzione della zona attorno a Ponte Vecchio ma le sue ipotesi innovatrici negli spazi si infrangono di fronte alla tendenza vincente ed elitaria della ricostruzione “com’era dov’era” che consegnerà una serie di falsi storici e influirà sulla futura museificazione commerciale della città.
La sconfitta delle sue tesi innovative ma solitarie, si riflette pesantemente anche nell’insegnamento di Michelucci alla facoltà di architettura di cui è di nuovo preside dal giugno del 1947 all’agosto del 1948. Nel 1948 Michelucci lascia la Facoltà di Architettura di Firenze, e diviene docente alla facoltà di ingegneria di Bologna, dove resta fino alla conclusione dell’attività di docente e dove trova un ambiente più favorevole allo sviluppo dei suoi temi.

Lasciato con dolore l’insegnamento universitario per raggiunti limiti di età, si dedica ad rigorosa ricerca con cui prepara, solitario ma non solo, la una sua nuova rivoluzione nel linguaggio dell’architettura: la concezione dello spazio che dovunque percorribile, la città variabile, il rifiuto di formule e schemi tecnicistici o tecnocratici, un nuovo rapporto antico-moderno che si esprime anche nell’uso congiunto della pietra e del mattone con il cemento armato, l’acciaio e i nuovi materiali utilizzabili in architettura.

Con la Chiesa dell’autostrada e con la Chiesa di Borgo Maggiore, nella Repubblica di S. Marino, Michelucci porta a compimento le premesse precedenti e realizza la sua rivoluzione progettuale, sulla base di una ricerca di unicità tra struttura e architettura, di sviluppo dello spazio come architettura di percorso.
Nel 1982 Giovanni Michelucci costituisce con la Regione Toscana ed i comuni di Fiesole e Pistoia la “Fondazione Michelucci” di cui sarà Direttore sino alla sua scomparsa Guido De Masi, amico e collaboratore dell’architetto. Da una precedente donazione di disegni al Comune di Pistoia nasce invece il “Centro di documentazione Giovanni Michelucci” di Pistoia.

Entusiasta e infaticabile promotore di iniziative e attività culturali anche nei suoi ultimi anni, partecipa con grande passione ai temi fondamentali del dibattito sulla città con posizioni anticonformiste e sempre innovatrici.

Il 31 dicembre 1990, due giorni prima del festeggiamento del suo centesimo compleanno, muore nella sua casa di Fiesole vicino ai suoi collaboratori più stretti.

Lascia erede universale la Fondazione che ha voluto attenta ai problemi sociali della città e ai mondi separati del carcere, del manicomio, degli ospedali e impegnata a propone idee e progetti per intervenire sulla cronicità urbana, per superare le istituzioni totali, per riconnettere gli spazi separati in un nuovo disegno della città, testimoniando un modo di vivere e di fare architettura vicino alle esigenze delle persone.

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