La realizzazione di un area residenziale attrezzata per famiglie Rom
Il Comune di Firenze realizza nel 1998, la prima ‘area attrezzata per la residenza’ di famiglie Rom, cercando, non senza difficoltà, di aprire un nuovo capitolo nella storia dell’accoglienza e della convivenza con i Rom.
Il progetto elaborato dalla Fondazione Michelucci che portò alla nascita dell’area residenziale attrezzata per famiglie rom, ebbe origine nell’ambito del programma di interventi stabiliti dalla allora Amministrazione comunale fiorentina (siamo nel 1994) rispetto alla grave situazione dei tre campi nomadi presenti all’interno del proprio territorio, due autorizzati, ed uno abusivo.
L’obbiettivo era quello del superamento della condizione di degrado e di alleggerimento della pressione abitativa dei campi, attraverso la sperimentazione di alcuni piccoli insediamenti di tipo abitativo distribuiti nel territorio cittadino, come per altro previsto dalla LR.73/95, riguardante le popolazioni Rom e Sinti, che consentì il finanziamento dell’intervento. Le ‘aree attrezzate per la residenza’ di famiglie di Rom e Sinti, così come previste dalla nuova LR., cercavano di aprire un nuovo capitolo nella storia dell’accoglienza e della convivenza con i Rom
La volontà progettuale fu quella di realizzare un intervento impostato in termini appropriati da un punto di vista culturale, di rispetto delle esigenze, di utilizzo delle risorse disponibili, di rapporto col contesto sociale ed urbano che potesse sicuramente rappresentare un passo in avanti nel processo di accoglienza territoriale e inserimento abitativo dei Rom. Nella concezione di questi spazi fu tenuta in considerazione la flessibilità della famiglia Rom, la destinazione non indifferenziata ma indirizzata a nuclei familiari definiti e limitati, il basso costo economico dovuto alla realizzazione di servizi essenziali per la residenza.
Le sei piccole case, realizzate in muratura tradizionale, e assegnate a famiglie Rom nel 1998, più di quanto non dica il dato quantitativo, costituirono per Firenze (e non solo), un contributo concreto al superamento della logica del ‘campo nomadi’, tollerato apartheid del moderno scenario urbano. L’efficacia dell’azione di progetto (la prima di questo tipo realizzata in Italia) pur non essendo a suo tempo risolutiva della pesante eredità dei campi presenti in città, intaccò definitivamente il luogo mentale che il ghetto zingaro rappresenta, segnalando di fatto la possibilità di un cambiamento di prospettiva rispetto alla usuale abitudine di ricorrere ad un unico contenitore spaziale delle differenze.
Alcuni presupposti progettuali come la realizzazione in autocostruzione, così come condiviso fin dall’inizio con i Rom stessi, e la possibilità di poter ampliare in autonomia e a proprie spese il modulo, con l’accrescimento della famiglia, non si realizzarono. L’intervento così come l’ampliamento dei moduli seguirono le canoniche procedure di appalto a ditte private.
L’intervento, realizzato alle spalle di un grosso quartiere nella zona est di Firenze, e ai piedi delle colline che delimitano in tale direzione l’espansione urbana, realizzato grazie ad uno stanziamento regionale di 502 milioni di lire (escluse le opere di urbanizzazione) permise la realizzazione, all’interno di un’area di 4.200 mq., di un tipo edilizio basato su un modulo minimo di 46 mq., edificato all’interno di una area di pertinenza, con la possibilità di successive estensioni e eventuali accorpamenti.
Pur nella sua esiguità volumetrica, il modulo base, composto da cucina-soggiorno, una camera da letto e da un blocco servizi diversificato, vuole essere l’espressione di un modello spaziale centrato sull’identità dell’abitare, luogo ‘interno’ di incontro della famiglia allargata, ma al contempo, spazio ‘esterno’ di raccordo e di relazione con il resto dell’insediamento e per estensione con il tessuto urbano circostante.
A ormai circa dieci anni di distanza, l’area residenziale ed i suoi abitanti fanno parte integrante del quartiere, le case, dal punto di vista strutturale le case, non hanno risentito del passare del tempo, e l’attenzione con la quale gli abitanti curano l’area, smentisce totalmente lo stereotipo del Rom che tanto ‘non è abituato a vivere in casa e vive nello sporco’.
MC
Allegati:
progetto_rom_Guarlone.pdf